Pianisti di altri mondi

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8 concerti a cura di Gianni Morelenbaum Gualberto

Biglietti: intero 20€ + prevendita

under 26 | over 65: 16€ + prevendita

convenzionati | soci Quartetto: 16 + prevendita

abbonamento: 8 concerti: 120€

card 6 concerti: 96€

La rassegna

Per parafrasare un noto detto, a parlar male della musica contemporanea si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Almeno a giudicare dall’istintiva ritrosia che molti manifestano non solo a proposito del repertorio musicale odierno di qualsiasi foggia ma, addirittura, dell’intero Novecento.

Il XX secolo viene certo ricordato per i drammi che lo hanno attraversato e per il riflesso che essi hanno avuto nella produzione artistica coeva. Agli artisti, agli storici e agli intellettuali del Novecento è toccato descrivere un’epoca funestata dalla Shoah e da due guerre mondiali, da conflitti, crolli di imperi, dall’incubo dell’olocausto nucleare: nel corso degli anni è cresciuto un pubblico intimidito o intimorito da un’arte spigolosa, aggressiva, (solo) apparentemente incomprensibile, difficile e lontana, soprattutto aliena alla riconciliazione, all’indulgenza, alla cordialità, a qualsiasi forma di intrattenimento. Dalla dodecafonia della seconda Scuola di Vienna sino alla musica elettronica dagli anni Cinquanta in poi, il Novecento e la nostra contemporaneità si sono fatti la fama di essere scostanti, difficili e persino urticanti. Fama immeritata, va detto, per quanto si tratti di arte che va vista e ascoltata in prospettiva, che forse non aveva e non ha, né poteva avere l’immediatezza di quanto eravamo abituati a considerare piacevole se persino un finissimo drammaturgo come Tom Stoppard si lasciava andare a un moto d’ironia: “Non è difficile capire l’arte moderna. Se è appesa a un muro è un quadro, se si può camminare intorno è una scultura.”

Eppure, il Novecento non è stato solo la culla di ideazioni artistiche complesse o introverse. Nel corso del secolo e fino ai nostri giorni si sono susseguiti momenti di straordinaria ricchezza, che hanno lasciato il segno: il jazz e tutte le sue ramificazioni, arti popolari ma di raffinata elaborazione come il tango, la diversificazione del teatro musicale dall’opera al musical, l’espansione della danza e del linguaggio del corpo, l’affermazione di culture un tempo neglette o sconosciute, l’arte di mondi nuovi, il rapporto fra musica e immagine e una straordinaria messe di materiali musicali cui nulla è mancato per imprimersi nella memoria e nel cuore del pubblico.

La rassegna “Pianisti di Altri Mondi”, che la Società del Quartetto di Milano inaugurerà il 19 gennaio 2020 al Teatro Franco Parenti, si propone di sfatare il mito di una musica contemporanea incomunicabile e arcigna e la fama ostile che accompagna molta produzione del Novecento musicale. Il cartellone, affidato a interpreti di grande notorietà e rilevanza, intende esporre – unendo impegno, spettacolarità, qualità – la attraente molteplicità di esperienze che la musica vicina ai nostri tempi sa offrire, le domande che essa sa porre e le risposte che sa dare. Prende così l’avvio un viaggio in otto tappe che conduce, per l’appunto, “oltre i confini”, che spinge a varcare frontiere geografiche, stilistiche, temporali per vincere anche qualcuno dei nostri pregiudizi e fare la conoscenza -non senza del divertimento e della levità- con un mondo, o più mondi, di grande fascino e complessità, di straordinaria varietà e vivacità.

Sarà il pianoforte a fare da “filo rosso” in tale percorso attraverso più linguaggi e sincretismi.

Gli artisti

Vijay Iyer (19 gennaio) e Jason Moran (5 aprile), autori e interpreti celebrati internazionalmente, spalancheranno una finestra sulla musica improvvisata che, partendo dal jazz, è diventata uno fra i principali veicoli espressivi della tradizione musicale americana, assimilando una molteplicità di materiali: dalle strutture accademiche agli echi dei song e delle canzoni popolari ai ritmi che il Nuovo Mondo ha saputo estrarre da più e diverse tradizioni.

Yonathan Avishai (23 febbraio), pianista virtuoso e raffinato il cui talento è stato esaltato da una recente serie di incisioni per una prestigiosa etichetta come la ECM, presenterà un programma che intende illustrare le radici della musica popolare d’autore nel Nuovo Mondo: il ragtime del leggendario Scott Joplin e il “tango brasileiro” di Ernesto Nazareth, compositore al quale s’ispirarono artisti del calibro di Darius Milhaud e Heitor Villa-Lobos.

Simon Ghraichy (29 marzo), altro affascinante virtuoso oggi nella scuderia discografica della Deutsche Grammophon, rappresenta simbolicamente e persino fisicamente lo spirito della rassegna: francese di nascita, libanese e messicano di origini, una gioventù trascorsa in Canada, studi musicali fra Parigi e Hensinki, egli presenta un programma affascinante, in cui si esplorano le radici ispaniche della musica del Nuovo Mondo. Partendo da alcune ben note composizioni di Albéniz come “Astúrias”, “Málaga”, “Jerez” e “Eritaña”, il pianista approderà alla Cuba virtuosistica e post-lisztiana delle danze afro-cubane di Ernesto Lecuona per poi soffermarsi sui ritmi caraibici di Porto Rico, così come immortalati da un compositore originale quanto stravagante come Louis Moreau Gottschalk, per poi concludere con l’immaginifico e coloratissimo Messico ritratto da Arturo Márquez.

Un compositore e pianista dalle doti espressive e strumentali del tutto fuori dal comune, Timo Andres (22 marzo), ci porterà nel cuore della nuova musica dei nostri tempi, capace di riallacciare un rapporto con il pubblico grazie a un’ispirazione ricca e feconda quanto disponibile a dialogare e a farsi ascoltare, senza steccati linguistici o posizioni preconcette, senza timori nei confronti di un diverso uso della tonalità, senza rifiuti nei confronti di una ricchezza ritmica e melodica. Autori americani di oggi come Philip Glass, John Adams e Nico Muhly si affiancheranno a compositori europei come Louis Andriessen e Donnacha Dennehy e a uno dei padri storici della musica americana, Aaron Copland. Ma non mancheranno pagine di autori che hanno saputo porsi al crocevia fra più culture e stili come Robin Holcomb, Gabriella Smith, Brad Mehldau (che molti conoscono come celebre jazzista) e Frederic Rzewski (ben noto per le sue monumentali Variazioni su “El Pueblo Unido Jamás Será Vencido”).

Se Lisa Moore (15 marzo) farà conoscere in modo spettacolare e trascinante il costante connubio fra musica e immagini, fra musica e happening teatrale, che ha caratterizzato molta produzione contemporanea attraverso pagine di Steve Reich, Philip Glass, John Adams, David Lang e della giovane ma già affermatissima Missy Mazzoli, Vanessa Wagner (9 febbraio) metterà il suo ben noto virtuosismo al servizio di autori che hanno voluto porsi ai confini fra il linguaggio accademico e la ricchezza dei vernacoli che sincretismi e contaminazioni hanno disseminato lungo tutto il Novecento: l’inclinazione cinematografica di Michael Nyman, il lontano e poetico mondo baltico di Peteris Vasks, l’ipnosi timbrica di Hans Otte, il tratto incantatorio di Meredith Monk, il trascinante sciamanesimo di Moondog, il romantico minimalismo europeo di Wim Mertens, lo ieratico incontro fra linguaggio accademico e l’energia dell’improvvisazione elettrica di Bryce Dessner.

Il viaggio si conclude (22 maggio) con una festosa e coinvolgente celebrazione del jazz e di uno dei suoi profeti: Charlie Parker, leggendario sassofonista, uno dei padri del be-bop e uno fra i più influenti intellettuali del Novecento, di cui ricorre nel 2020 il centenario della nascita. Quattro pianisti fra i più apprezzati protagonisti della scena improvvisata internazionale odierna – Dado Moroni, Aaron Goldberg, Danny Grissett e Emmet Cohen – si alterneranno, su due pianoforti a due, quattro e persino otto mani, per ricordare uno dei linguaggi che hanno cambiato la storia del Novecento. Perché, come sosteneva Egon Schiele, “L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità.”

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