Visioni contemporanee sul piano di Vijay Iyer

 
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Fra i pianisti che hanno rinnovato l’idea di improvvisazione e ricerca al pianoforte nell’ultimo decennio hanno un ruolo di rilievo Vijay Iyer e Craig Taborn. Le loro tastiere (in solitaria o con una band) ritraggono in musica il nostro quotidiano, con l’abilità di comporre brani che ne colgono contraddizioni, incertezze e spinte positive con un linguaggio complesso e stratificato, come accadde per i grandi del free jazz storico per rendere le tensioni razziali degli anni 60 e 70. Al pari dei loro coetanei quarantenni nelle arti visive, Iyer e Taborn sono musicisti di sintesi, in grado di citare la storia del jazz per poi aprirsi a paesaggi sonori innovativi.

Vale quindi la pena di ascoltare il pianista indo-americano Vijay Iyer che apre la rassegna “Pianisti di altri mondi” al Parenti (via Pier Lombardo 14, domani ore 11, ingr. 22,50/17,50 euro) con una personale visione (fra i migliori esempi “Spellbound” e “Autoscopy”) divisa tra Paul Bley, accenni di raga, blues e minimalismo.